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BENVENUTI SUL MIO BLOG - Alessandra Giorda

venerdì 14 dicembre 2012

UNO SGUARDO AI QUOTIDIANI

cosa è successo ieri a Bruxelles


LIBERO

Vertice Ppe, a sorpresa c'è Monti. Arrivato Berlusconi
 
 
 
La partita tra Silvio Berlusconi e Mario Monti si sta giocando tutta a Bruxelles e per la precisione nella casa dei centristi, il Partito poplare europeo. Prima è toccato al premier: "Ho ribadito al Ppe che l'Italia resterà europeista, mentre i vertici del partito hanno espresso apprezzamento per il mio governo". Poi è stato il turno del Cavaliere, che ai popolari europei ha ribadito quanto espresso già mercoledì sera a Roma: "Se il professore si candiderà come premier, io farò un passo indietro". Forse è ancora presto per parlare di Berlusmonti, visto che il panorama politico italiano cambia di ora in ora. Di sicuro, si può parlare di pace europea visto che a detta di fonti vicine a Berlusconi Monti avrebbe apprezzato la lusinga del suo predecessore a Palazzo Chigi.

"Processo al Cav" - Il vertice del Ppe a Bruxelles rischiava di essere una sorta di processo a Berlusconi. Il capogruppo dei lib-dem, Guy Verhofstadt, ha recentemente chiesto l'espulsione del Cavaliere dal gurppo Ppe. Il giorno prima la dura presa di posizione di Mario Mauro, capogruppo Pdl all'Europarlamento, che aveva annunciato tutta la sua contrarietà alla linea di Berlusconi. Poi l'ex premier ha smorzato i toni. Una mossa che ha spiazzato tutti, dal Ppe e fino ai dissidenti del Pdl.
Monti a sorpresa - Al centro del vertice del Ppe la lotta al populismo e all'antieuropeismo, considerati due valori fondanti del Partito dei popolari europei, il maxi-gruppo dei centristi della Ue. E a poche ore dall'inizio del vertice, il presidente Joseph Daul ha ribadito che nel partito non c'é spazio né per il populismo né per l'antieuropeismo. L'aria, nonostante la frenata, per Berlusconi appare tesa. In questo senso a smorzarla potrebbe averci pensato proprio Monti, il premier italiano voluto dall'Europa e che nella stessa Europa gode di altissima stima. Il Professore, non atteso, si è presentato al vertice. Ma sulla presenza di Mario a Bruxelles c'è una doppia interpretazione.
La difesa - Secondo il primo punto di vista quella del premier sarebbe una mossa chiara: nonostante le frizioni delle ultime settimane ha voluto essere al vertice in cui "l'imputato" era Silvio Berlusconi. Una mossa che servirebbe anche a difenderlo. Un'occasione, chissà, anche per un primo faccia a faccia tra i due dopo l'apertura del Cavaliere. L'uomo osannato dall'Europa (Monti), a sorpresa si reca proprio dove l'Europa stessa è pronta a bacchettare Berlusconi. Monti non ha ancora preso alcuna posizione ufficiale sulla propsta di Berlusconi, quella di porsi alla guida dei moderati. La stampa ha interpretato il silenzio del Professore come una chiusura. Ma l'arrivo a Bruxelles potrebbe cambiare la carte in tavola, e il "Berlusmonti" potrebbe essere più vicino. Secondo un'altra ricostruzione dei fatti, invece, la presenza di Monti sarebbe un escamotage per rubare la scena a Berlusconi, e per dimostrargli che il Ppe, compatto, si stringe attorno al premier. Alcune voci indicano Mario Mauro, l'azzurro "strappista", come l'organizzatore dell'"imboscata".



IL MESSAGGERO

Monti pronto a dire sì alla candidatura:
l'Italia ha bisogno di riforme

dal nostro inviato Alberto Gentili


 
 
 
BRUXELLES Mario Monti è più vicino alla candidatura. Non ha detto un sì ufficiale: «Devo riflettere ancora, devo capire se posso rinunciare almio ruolo super-partes, ma adesso non escludo nulla», ha confidato ieri sera a margine del vertice europeo. Però il professore ha già fatto una scelta di campo. L’ha compiuta partecipando al vertice del Partito popolare europeo e non a un seminario, come fece in settembre a Fiesole, parlando comunque già allora di «valori comuni» e di «vicinanza».

E non perché semplicemente invitato. Wilfrid Martens ha voluto avvalorare la tesi dell’invito formale per non mettere in imbarazzo Monti. Ma mercoledì sera il presidente del Ppe ha telefonato al professore e gli ha fatto un discorso che è suonato più o meno così: se ti invitassimo al vertice di domani, presente Berlusconi, per parlare della situazione italiana, del pericolo del populismo e della necessità di dare una guida autorevole ai vostri moderati, tu verresti? La risposta è stata un secco sì. Sì a partecipare al processo a Silvio Berlusconi. Sì a ricevere una sorta di incoronazione. Sì a parlare con Angela Merkel e gli altri leader europei, appunto, del Monti dopo Monti. Sì a rinunciare alla patina di neutralità per alzare la bandiera del Ppe.

Una scelta, quella del premier, che non è frutto dell’emotività o della vanità. Che non è figlia del rancore per quella «sfiducia radicale e sostanziale» servitagli dal Cavaliere. Ma è un passo ulteriore verso la discesa in campo con l’ambizione di unire i moderati «senza Berlusconi». A Monti, infatti, l’ipotesi di andare al Quirinale dopo le elezioni non convince. L’ha detto chiaro a Pier Luigi Bersani lunedì 3 dicembre. Al segretario del Pd - fresco della vittoria alle primarie - che gli prospettava un patto per spedirlo sul Colle, il professore ha rivelato di preferire l’impegno di governo. Le parole: sono lusingato, ma non intendo assumere un ruolo di garanzia. Questo Paese ha bisogno di riforme.
 
Ebbene, Monti ritiene di essere l’uomo giusto per portare avanti le riforme. Perché è convinto di aver dimostrato «di saper fare questo lavoro». Perché questo gli chiedono i leader europei e Barack Obama: «E forse non sarebbe male dare un segnale, una prospettiva di continuità per il dopo-elezioni», dice uno dei suoi. Perché per Monti fanno il tifo gli industriali nostrani, la Santa Sede e vaste aree del centro moderato.

Ci sono due dilemmi che impediscono ancora al presidente del Conaiglio di annunciare al mondo la sua discesa ufficiale in campo. Il primo: il patto di stima e di fiducia con Bersani. «Non è un passo da poco passare all’improvviso da alleati ad avversari. Soprattutto alla vigilia del varo di una legge importante come quella di stabilità», dice uno dei collaboratori di Monti.

Ma a Bruxelles, con buona pace di Bersani, perfino il socialista Francois Hollande fa il tifo per il professore: «Mario ha permesso all’Italia di raddrizzarsi e di farsi rispettare», ha detto il presidente francese stringendogli la mano all’ingresso del summit a beneficio dei fotografi. Il secondo dilemma: vincere le elezioni senza la Lega non è impresa facile. E comunque, a meno di miracoli, della partita dovrebbe far parte Berlusconi. Una compagnia che il premier non gradisce. Anzi.
 

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