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mercoledì 12 dicembre 2012

UNO SGUARDO AI QUOTIDIANI

IL GIORNALE
Massimiliano Scafi

Silvio rottama 9 deputati su 10 E sullo spread: "Un imbroglio"

Berlusconi in tv ribatte a distanza al Prof Monti: "Il suo governo ha portato una crisi molto più pesante". E in serata incontra Maroni per siglare l'accordo con il Carroccio



Roma - Che ci frega dello spread? Tanto, dice a Canale 5 Silvio Berlusconi, «è solo un imbroglio, un'invenzione», un giochetto che è servito un anno fa «a far cadere il governo votato dagli italiani».
Adesso è già ridisceso: "L'anticipo delle elezioni è un motivo risibile, non può essere uno spostamento di poche settimane a provocare una crisi degli indici differenziali "
Il problema vero è un altro, e cioè che «purtroppo il governo Monti ha portato una crisi molto più pesante di quando c'eravamo noi». Ma il voto è vicino. Il Pdl, racconta il Cav, forse tornerà al nome di Forza Italia, rottamerà il 90 per cento dei parlamentari uscenti e cercherà intese con la Lega per politiche e Lombardia. E infatti in tarda serata Roberto Maroni arriva a Palazzo Grazioli per «discutere di alleanze e programmi». Presenti al vertice anche Angelino Alfano, Denis Verdini, Guido Crosetto e Paolo Bonaiuti mentre, per la Lega, c'erano pure Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti.
Intanto però «smettiamola di parlare di questo imbroglio», insiste l'ex premier. «Cosa ci importa degli interessi dei nostri titoli rispetto a quelli sui Bund tedeschi? Quando l'anno scorso salì, Berlino aveva ordinato a tutte le banche di vendere otto-nove miliardi di buoni del Tesoro italiani. Gli altri fondi hanno pensato, “se la Germania vende, qualcosa ci sarà”, e hanno chiesto a noi un premio del 6 per cento per il rischio tecnico. La Germania ne ha approfittato e ha abbassato i tassi all'1%». Insomma, una manovra che è servita «ad abbattere un governo e a fargli perdere la maggioranza».
 
 
 
 
 
Il Cavaliere chiama il capogruppo del Ppe a Strasburgo Joseph Daul e conferma il suo «europeismo». Però, aggiunge, abbiamo pagato i tanti nein detti alla Frau Angela. «Io ho detto di no - racconta - quando la signora Merkel chiedeva che alla Grecia fossero imposte delle riduzioni che l'avrebbero portata, come è stato, quasi alla guerra civile. Ho detto di no quando si è parlato di Tobin tax. Ho detto di no quando si è trattato di far calcolare alle banche i titoli del debito pubblico posseduti non al valore di rimborso ma del secondo mercato». Silvio Berlusconi ricorda di aver persino messo il veto sul fiscal compact, sospendendo il consiglio dei capi di Stato e di governo, per far presente che l'Italia non poteva assumersi una riduzione del debito di 50 miliardi all'anno. «Il nostro Pil va calcolato sommando a quello emerso anche quello sommerso, cosa che invece l'Europa non fa».
 
Il Professore è ai titoli di coda, difeso stavolta da Pier Luigi Bersani: «Quelle di Berlusconi sono solo stupidaggini, il rialzo dello spread è preoccupante. Certamente con la Germania bisogna discutere da pari a pari, ma in modo amichevole». I toni si alzano, le elezioni si avvicinano. Il segretario del Pd esclude la grande coalizione: «Se si pareggia, si torna a votare». Il leader del centrodestra conferma che quella di spacchettare il Pdl e di tornare a Forza Italia-An è più che un'idea. «Amichevolmente, con stima reciproca, parliamo la possibilità di un gruppo formato da protagonisti con una storia di destra. Separati prenderemmo più voti». Schema e simbolo del '94, ma facce nuove. «Il 50% per cento dei candidati verranno dal mondo delle imprese e delle professioni, il venti da sindaci e amministratori locali, il dieci da personalità dell'arte e della cultura». Dunque solo un parlamentare su dieci, tra gli uscenti, verrà riconfermato, ad eccezione di quanti non hanno una matrice solo politica e vengono già «dalla trincea del lavoro» e saranno perciò inseriti nella quota del 50%. Gli altri, fuori
 
 
 
 
IL CORRIERE DELLA SERA
 

Merkel: «Gli italiani sceglieranno la giusta via»
E a Monti: «Pieno sostegno per le riforme fatte»

Elezioni, alt di Berlino: «No a una campagna anti-tedesca»
L'ex premier:«Mi sono opposto a un governo germanocentrico»

«Ma a noi che ci importa dello spread? È un imbroglio, un'invenzione»: così aveva detto Silvio Berlusconi-choc all'indomani del crollo dei mercati italiani che hanno reagito con un pesante ribasso alle dimissioni di Mario Monti e all'annuncio del ritorno in campo del Cavaliere. Con un duro attacco alla Germania: «Mi sono opposto alle loro richieste che ci portavano alla guerra civile».
Dichiarazioni che hanno subito scatenato la reazione di Berlino. Il ministro degli esteri Westerwelle ha ammonito: «Una cosa non accetteremo: che la Germania sia fatta oggetto di una campagna elettorale populista». Con la Merkel che ha espresso pieno sostegno a Mario Monti e «quello che ha messo in campo per le riforme» augurandosi che gli elettori italiani «sceglieranno in modo tale da garantire che il Paese resti sul cammino giusto».

 
 
LA STAMPA
 
Berlusconi: “Lo spread? Imbroglio tedesco” E Berlino lo attacca
 
 
MARCO ZATTERIN
corrispondente da Bruxelles
Berlino si fida degli italiani, ma ieri mattina ha detto «nein!» al ritorno del Cavaliere in politica,

proprio mentre Berlusconi negava l’esistenza

Silvio Berlusconi ieri ha attaccato duramente l’Europa e in particolare la Germania


 
Berlino si fida degli italiani, ma ieri mattina ha detto «nein!» al ritorno del Cavaliere in politica, proprio mentre Berlusconi negava l’esistenza dello spread - «Ma cosa ce ne importa? È un imbroglio, un’invenzione» -, teoria che ai rigorosi tedeschi non può davvero piacere. «Io sostengo quello che Monti ha messo in campo per le riforme», ha dichiarato ieri la cancelliera Angela Merkel, convinta che «gli elettori voteranno così da garantire che il Paese resti sul cammino giusto». In piena e naturale sintonia il ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, sicuro che «né Berlino, né l’Ue, siano la causa delle difficoltà italiane». Per questo, ha promesso, «non accetteremo di essere l’oggetto di una campagna elettorale populista». 
 
C’è viva preoccupazione in Germania - come nel resto d’Europa - per il possibile venir meno della spinta riformista del governo Monti, per l’instabilità che una lunga e turbolenta vigilia di voto potrebbe provocare, per l’ipotesi che un governo non coeso possa dopo il voto segnare una soluzione di continuità rispetto alle riforme e al rigore. È una circostanza «potenzialmente pericolosa» per l’Europa, puntualizza Westerwelle. Non è il l’unico a pensarlo. Dopo le parole dure di Martin Schulz (Parlamento Ue), gli avvertimenti istituzionali di Bruxelles, e le critiche della squadra di Hollande, ieri ha fatto scalpore anche lo strappo a Strasburgo con il partito popolare europeo, stanco dei toni imbevuti di populismo e della «politica spettacolo».
Berlusconi è partito all’attacco di buon’ora. Lo deve aver ispirato la lettura dei giornali che riferivano dello stato di allerta generale in Europa per le turbolenze lungo la penisola e i lori effetti possibili sul resto dell’Eurozona.
Ha telefonato a Mattino Cinque, programma della sua Mediaset. E ha negato ogni attrito con l’Europa, rispondendo «neanche per sogno!» a chi gli chiedeva se la sua nuova impresa politica potesse preoccupare qualcuno. «Fin quando a rappresentare l’Italia ero io, ero uno tra i due o tre capi di governo più autorevoli, l’unico che veniva dalla trincea del lavoro - ha affermato -. Certo, mi opponevo alle richieste tedesche come quelle che hanno quasi portato la Grecia alla guerra civile».

Di qui alla scorticazione del concetto dello spread, ovvero del differenziale di interessi coi virtuosi decennali tedeschi che misura il premio di rischio per i debiti pubblici, il salto è stato breve. Berlusconi ha sostenuto che lo spread è salito quando «la Germania ha deciso di fare una cosa nel suo interesse, ordinando di vendere i titoli italiani», dando l’esempio a altri grandi Paesi. In pratica, la Merkel avrebbe ordito un complotto all’interno dell’Eurozona. «La Germania ha approfittato di questo e, forte del debito sovrano solido, ha abbassato i tassi dell’1%. Ma, a noi, cosa importa?». 

L’uscita ha suscitato sorpresa. «Siamo nel campo di un’opinione personale - ha commentato Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria -. Lo spread invece è importante perché impatta direttamente sul costo del debito pubblico». Concetto approvato appieno dalla Commissione Ue, pronta a sottolineare come l’aumento del servizio dei conti pubblici abbia effetti deleteri sulle capacità delle imprese di finanziarsi. Ma non dal portavoce del Pdl, Capezzone, che segnala gli spread in discesa e auspica che «questa propaganda faziosa finisca». Il differenziale s’è fermato ieri intorno a 340 punti dopo essere schizzato sino a quota 360. Una frenata, anche se il livello si mantiene sui massimi delle ultime settimane.  

 

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